“La grande oratoria è come il fuoco, si alimenta di materia prima, si ravviva agli impulsi e bruciando acquista luce”.
Sono queste le sagge parole di un Tacito che durante l’età imperiale a Roma s’immerge in una profonda analisi dei moventi e delle cause che hanno fatto approdare la grande eloquenza alla banalità, all’artificio retorico e alla piena decadenza. Una decadenza indagata da diversi esponenti della letteratura latina durante l’età imperiale, da Petronio fino allo stesso Tacito. I dialoghi da loro composti rappresentano protagonisti intenti a indagare la vera causa del problema e a individuarne una possibile soluzione in un clima teso, ma ancora intriso del fascino della grande eloquenza repubblicana. Ognuno tra questi intellettuali utilizza una chiave di lettura sociale diversa, la quale diventa strumento per poter avanzare delle ipotesi e poter esplicare la propria ideologia. Esistono dei fattori comuni, facilmente identificabili, nell’indagine di ognuno di loro e una cosa è certa: l’ars oratoria della Res Publica avvampa ancora nella memoria dei grandi autori e non può che costituirsi come exemplum per i posteri. Ma è attraverso i fattori comuni che si comprende l’intoppo della decadenza dell’eloquenza, durante l’età imperiale romana. E se è possibile identificare il file rouge delle varie argomentazioni, esso risiede nella presa coscienza di uno sfaldamento dell’istruzione, della sua qualità e della totale débâcle di tutto il sistema scolastico.
Se la massima senecana “virtus in usu sui tota posita est” scolpisce, ancora oggi, nelle nostre menti il principio fondamentale secondo cui l’essere virtuoso si manifesta nell’esercizio stesso della virtù, esso trova maggiore aderenza nelle tesi caldeggiate dagli autori prima citati. È, infatti, nel dialogo petroniano o tacitiano, ma a maggior ragione in quello di Quintiliano, che è possibile denotare l’importanza di un’istruzione nelle scuole che sappia elargire gli strumenti per poter mettere in pratica l’insegnamento teorico. Questo diviene il fulcro del problema: la futilità degli insegnamenti e l’annientamento di una visione scolastica improntata all’utilità pratica. Il ragazzo per poter raggiungere la sua formazione globale e poter acquisire una conoscenza à tout faire, da buon oratore, deve godere fin dall’infanzia di una educazione che sappia cementare le fondamenta per il buon cittadino sicuro delle proprie abilità e capace di affrontare le diatribe nel Foro.
L’iter formativo, sostenuto nelle opere di un’epoca ormai tanto lontana, ha un sapore abbastanza contemporaneo. Infatti, se oggi giorno assistiamo allo sgretolamento della retorica e dell’eloquenza, le cause imputabili sono ancora una volta l’impianto metodologico scolastico ed educativo del cittadino, nella formazione della sua essenza. Il tassello mancante è proprio l’ammaestramento alla coesione sociale, all’importanza dei rapporti e soprattutto del confronto tra coloro che condividono un’ambiente, sfociando tutto ciò nell’incapacità di possedere senso critico e saper costruire argomentazioni solide, di fronte ai problemi del nostro tempo. La stessa oratoria che oggi ci viene proposta è piena di artifici retorici e spesso pecca di ridicolezza e meschinità. Si pensa di coinvolgere il popolo attraverso slogan e motti apparentemente incisivi, ma privi di valutazioni obiettive e profonde. Tutto s’incastra perfettamente, la formazione morale, intellettuale e culturale è profondamente povera e manca della scintilla di cui parlava Tacito a proposito della grande oratoria. Gli individui, di conseguenza, si ritrovano sprovveduti di sostegni solidi per identificarsi e per plasmare un Ego interattivo, valutativo e dotato di capacità logiche. Questo scenario approda a una fotografia negativa della società, sempre più addomesticabile e di facile persuasione.
La causa politica si allega nel Dialogus de oratoribus tacitiano alla causa della degenerazione scolastica. Egli interpreta la situazione politica come lo speculum della decadenza dell’eloquenza. E se dal punto di vista dello scrittore la grande oratoria non può albeggiare in “bene costitutis civitatibus”, in uno Stato pacifico e ordinato, oggi sembra invece che i disordini politici e la grave crisi vadano ad intaccare profondamente questo aspetto, e che incidano nella crescita civile e morale di ogni individuo sociale. Il sintomo di una grande eloquenza è la saggezza e la saggezza è il sintomo di una grande eloquenza.
Chiara Boscarello